La popolazione svizzera si avvicina a quota 9 milioni, e già guarda oltre – Secondo molti osservatori, l’attuale rete dei trasporti non sarebbe in grado di reggere l’impatto con un’ulteriore crescita – Ne parliamo con Filippo Lombardi, presidente di SwissRailvolution, e con l’esperto Davide Marconi di Mobitrends

Ancora lo scorso 1. agosto, l’associazione ProGottardo-Ferrovia d’Europa sollecitava il consigliere federale Albert Rösti. «Occorrono misure d’intervento in grado non solo di allentare nell’immediato la morsa dei problemi, ma anche di favorire nuove forme di mobilità e nuove mentalità a medio e lungo termine». Dal Ticino si alzano le voci che chiedono a Berna un intervento. Anche perché la Svizzera viaggia verso quota 9 milioni di abitanti, e già si parla del passaggio ai 10. Non è un futuro fantascientifico, è questione di una decina d’anni, o giù di lì. L’attuale rete della mobilità è pronta a fronteggiare questo boom? Gli esperti del settore dicono di no. E allora cosa aspettiamo? Ne abbiamo parlato con Filippo Lombardi, presidente di SwissRailvolution, l’associazione per la concezione e lo sviluppo delle ferrovie svizzere di domani, oltre che municipale di Lugano incaricato della mobilità e presidente della Commissione regionale dei trasporti CRTL.

«Equilibrio strada-ferrovia»

«Certe previsioni degli Uffici federali competenti danno le vertigini, sia per quel che concerne la crescita del traffico passeggeri sia per le merci», ammette Lombardi, che aggiunge: «Dobbiamo però concentrarci, ora come ora, nel rendere il più efficiente possibile la rete che abbiamo, potenziandola in modo mirato. E allora occorre una pianificazione ferroviaria su più decenni, da qui al 2050, che detti le varie tempistiche d’intervento, consci della necessità di procedere per tappe ben definite. Perché non si può fare tutto subito. Ci vorrebbero oltre 50 miliardi – più del doppio dell’intera Alptransit Lötschberg-Gottardo-Ceneri – e non abbiamo comunque capacità sufficienti di progettazione e costruzione. Bisogna dunque mettere tutte le esigenze sul tavolo e definirne le priorità in una strategia 2050 coerente, come peraltro esige il Parlamento». Contrariamente alla tradizione svizzera, quella del «dare un pezzettino di strada e di ferrovia a ogni Cantone che lo chiede, a macchia di leopardo, con soluzioni che indeboliscono la rete invece di rinforzarla». Lombardi parla di debolezze del sistema, di residui della «guerra tra strada e ferrovia», che ha frenato alternativamente l’uno o l’altro vettore negli ultimi settant’anni, mentre la mobilità va vista nel suo insieme intermodale, con il giusto equilibrio tra vettori complementari. «Perché anche raddoppiando la capacità ferroviaria – obiettivo titanico in sé – non ridurremmo nemmeno di un quarto la mobilità stradale. Anche se ci rallegra il secondo trimestre di quest’anno, che ha fatto registrare il record di tutti i tempi in Svizzera per l’uso della ferrovia». Lombardi cita anche un altro potenziale strumento, «il mobility pricing», pur ammettendo che «non piace a tutti». «Dobbiamo metterci in testa che la mobilità ha un prezzo, troppo spesso sottovalutato in passato». Ricordiamo che il mobility pricing ha l’obiettivo di snellire il traffico nelle ore di punta, di sfruttare in modo più equilibrato le infrastrutture di trasporto e di favorire lo split modale più efficiente e sostenibile. «In passato, si spendeva e spandeva in infrastrutture commisurate alle punte di consumo, convinti che per ogni percento di crescita del PIL ce ne volessero due di crescita dei trasporti, e di consumo energetico. Oggi dobbiamo spendere in modo mirato, perché l’ingolfamento del sistema in realtà non porta benessere ma lo toglie».

«Così cambia Lugano»

Un ingolfamento che coinvolge anche le città, con la crescita della popolazione che tende a addensarsi nei centri. Ciò interessa le grandi città d’oltre San Gottardo, ma in Ticino è normale pensare a Lugano. Lombardi ammette che «non siamo ancora riusciti a ridurre in modo significativo il traffico in città. Siamo però stati in grado di fermarne la crescita smisurata che ci stava soffocando». E per andare oltre? Trasporti pubblici, questo è scontato, ma non solo. «Gli ultimi nostri messaggi, sulle zone 20 e 30 per esempio, oppure la riduzione del numero di posteggi obbligatori per nuovi immobili, vanno in questa direzione, mentre vogliamo ristrutturare la logistica urbana per ridurre i camion in centro, e lavoriamo sul Piano direttore comunale che conterrà a sua volta diverse indicazioni», spiega Lombardi. «E poi sì, il tram-treno sarà realtà tra alcuni anni. Purtroppo occorrono sempre tempi biblici per le opere pubbliche, e ciò mi angustia molto. Vedo il tempo che passa, mentre le soluzioni stentano ad arrivare. La via però è tracciata». Come sembra tracciata quella che porterà al PoLuMe, il potenziamento Lugano-Mendrisio, il tema più delicato, «che va affrontato a testa fredda, evitando una guerra ideologica». Per Filippo Lombardi, «Lugano ha bisogno di questo potenziamento, perché soffoca nel traffico che esce dall’autostrada ingolfata o che la evita, attraversando il centro». Il Mendrisiotto la pensa diversamente. «Ne sono consapevole, ci sono sensibilità differenti, e quindi occorreranno misure di compensazione. Oltre al PoLuMe, Lugano deve concludere i lavori alla stazione, incluso l’anello stradale con via Basilea e il tunnel del Tassino. Solo combinando queste opere e togliendo il traffico parassitario, riusciremo a ridurre i passaggi nelle arterie centrali e dimezzare quelli sul lungolago».

«Non si è pianificato»

Quando si parla di mobilità, spesso si ha la sensazione di essere confrontati a veri e propri tormentoni. È il caso, tornando alla ProGottardo, dell’esigenza di completare AlpTransit. Viene da chiedersi quanto Berna ascolti questo genere di appelli. SwissRailvolution è una nuova associazione che vuole unire tutte le altre – fra cui appunto la ProGottardo – per esigere una strategia, senza che ciascuna tiri la coperta solo dalla sua parte. Perché la coperta è corta. «E così facendo, non si arriva a nulla. Gli enti pubblici cercano di accontentare un po’ tutti, ma poi realizzano nel disordine solo le opere che hanno fortunosamente passato il muro dei ricorsi. Invece vanno definite le priorità, e ci vuole il coraggio di imporle ai Cantoni, ai Comuni, alle Ferrovie». Lombardi deplora anche l’insufficienza di risorse umane, sia per l’Ufficio federale dei trasporti che per le Ferrovie federali, che finiscono per rimpallarsi le responsabilità. «Ma il fatto che manchino risorse significa proprio che non si è pianificato per tempo. Adesso vogliamo una nuova strategia globale, come non ne vediamo più dalla definizione di Alptransit e di Ferrovia 2000. Se il Governo non lo capisce, tocca al Parlamento mettere sotto pressione l’Ufficio federale dei trasporti e le FFS. È qui che vogliamo concentrare il nostro “lobbying ferroviario”».

«La soluzione per il futuro passa dall’intermodalità»

«L’impatto del mutamento demografico sulla mobilità». Lo studio dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE) risale al 2008. L’autore, Davide Marconi, oggi è partner di Mobitrends, la cui app, Mobalt – utilizzata anche dalla stessa Città di Lugano per promuovere la mobilità ciclabile professionale -, ha la funzione di individuare le migliori alternative per gli spostamenti casa-lavoro. L’analisi condotta per l’ARE si concentrava, in particolare, sull’invecchiamento della popolazione. «Sì, perché la demografia ha un impatto sulla mobilità in termini di volumi, ma anche nel modo in cui evolve la propria struttura. Tale evoluzione può avere ripercussioni sulle abitudini dei cittadini rispetto ai trasporti e alle infrastrutture. Ora, aumentano le persone in età di pensione, ma sono persone mediamente più in forma, con abitudini diverse. Stiamo parlando di quella generazione che ha sfruttato al massimo il concetto di mobilità individuale, con – per la prima volta nella storia – poche distinzioni di genere. E questo avrà tutta una serie di ripercussioni anche sul traffico, specie sulla mobilità legata al tempo libero, quindi al netto dei flussi turistici e dei frontalieri, i quali sono flussi ben più visibili negli orari di punta». Per contro, Marconi ribadisce che le nuove generazioni sono, tendenzialmente, meno dipendenti dall’automobile. «È vero che non c’è più il grande mito dell’auto che aveva caratterizzato le precedenti generazioni».

Ci chiediamo, di fronte a tutte queste prospettive, se sia già possibile trovare i limiti delle attuali infrastrutture. «A rendere complessa l’individuazione dei limiti, è il fatto che lo sfruttamento delle infrastrutture tende a concentrarsi in alcuni particolari momenti, in alcuni particolari giorni. Basti pensare ai flussi transfrontalieri, turistici. La vera sfida sta proprio nel gestire queste concentrazioni». E poi Marconi aggiunge: «Nell’orientare la domanda a una migliore distribuzione». È il concetto del mobility pricing, «che è complicato da introdurre in Svizzera. Ma altrove ha funzionato. L’alternativa è agire sulle abitudini o sulle infrastrutture. Ma bisogna capire se ha senso rendere ancora più capienti le strade per pochi momenti di massima concentrazione». Sono dinamiche che, secondo Marconi, ricordano quelle relative ai mezzi pubblici. «Si punta il dito su bus enormi semivuoti, ma questo dipende dai flussi mattutini e serali che richiedono mezzi particolarmente capienti. Certo, poi calibrare i tragitti nel resto della giornata non è scontato. Lo stesso vale per gli assi stradali principali».

Il Ticino deve convivere con la sua stessa natura, con una distribuzione sul territorio alquanto complessa. «Ma sono sicuro che si possa comunque migliorare la situazione. Tanto per cominciare, le nuove infrastrutture, come il tunnel di base del Monte Ceneri, ci aiutano in tal senso. Ma da Lugano in giù tutto è più difficile». E quindi? La soluzione, per Davide Marconi, è principalmente una: l’intermodalità. «Bisogna abituare la gente a scegliere il mezzo migliore secondo l’offerta e la disponibilità di alternative. Perché va bene utilizzare l’auto, ma magari in alcuni tragitti ha più senso il treno. Ma anche in questo caso, occorre un processo a cui bisogna dare avvio, lavorando sulle abitudini». Va detto che stiamo ragionando sul futuro con i mezzi del presente. «Non conosciamo del tutto le opportunità legate ai mezzi che verranno, a cominciare da quelli autonomi, che potrebbero rivoluzionare l’offerta di trasporto pubblico. Ma credo che si possano già prevedere, per il Ticino, due diversi livelli di mobilità: una rete tra i principali centri e all’interno delle aree più dense in cui i mezzi pubblici riusciranno a imporsi come più veloci e attrattivi, e poi i collegamenti con i siti periferici, con le valli e le colline, da effettuare con mezzi individuali, motorizzati e non. È in questa combinazione che l’intermodalità dovrà funzionare al meglio».

Paolo Galli Cdt.ch